Ci avevano detto che sarebbe stata cosa da poco. Che sarebbe durato al massimo 12 mesi il lockdown. Che avremmo fatto tutti un piccolo sforzo, collettivo, e sarebbe andato tutto bene. E invece. Invece ci ritroviamo ancora qui a distanza di un anno e mezzo a combattere con il coronavirus e con la implacabilità dei fatti, che a dispetto della retorica non si ammorbidiscono di fronte ai cuori infranti delle popolazioni di tutto il mondo.
Anzi si sono mostrati spietati, costringendoci a contare a centinaia di migliaia le morti in tutta Europa e nel mondo.
A guardare le conseguenze cui ci sta relegando questa pandemia a livello locale, nazionale e internazionale, la cosa migliore che potremmo fare (per essere buoni) sarebbe di raccontare anche noi e fare la conta dei numeri, che è una conta drammatica che ci riporta alla tragedia che si sta consumando un po’ dappertutto, vedendo tra le vittime i più deboli non soltanto gli anziani e soprattutto migliaia e migliaia di persone a cui l’informazione non fa riferimento e che pure nei luoghi più sperduti della terra in questo momento stanno morendo. In questo panorama da “Io sono leggenda” avremmo potuto anche noi parlare del presente perché è l’unica cosa (almeno per ora) di cui possiamo avere ancora certezza.
Eppure abbiamo scelto di declinare ancora una volta i verbi al futuro, come spesso ci è capitato in questi anni.
Perché lo facciamo?
Perché siamo convinti che proprio sul nostro portale questo verbo sia stato declinato e bene anche in passato e non potrebbe non trovare posto anche in questo momento di forte scoraggiamento per tutti. La verità è che viviamo un’incertezza ormai cronica e ci stiamo accorgendo solo in questo momento di quanto siamo fragili e oggettivamente precari in questa vita: fino a questo momento avevamo fatto progetti strabilianti, avevamo riempito i nostri calendari di appuntamenti e proiezioni per l’anno 2020 e poi per il 2021. Adesso non sappiamo nemmeno cosa ci aspetta per l’anno a venire 2022. Ma ancora una volta Iamu vuole essere una realtà in controtendenza, non in maniera stucchevole, ma come fosse una missione.
Perché le centinaia di adolescenti di cui ci mettiamo all’ascolto annualmente, adesso lanciano un grido d’aiuto più forte del solito. Perché la solitudine (unita alla paura) sta incastrando i nonni, come i nipoti. Gli industriali come gli operai.
E non c’è certezza di chi verrà colpito e chi no. Non c’è stato un criterio e non c’è tuttora.
E, cosa ancor più spiazzante in questo tempo di forti insicurezze, nemmeno la scienza sembra avere le idee tanto chiare o quantomeno non la si percepisce come una voce unanime, chiara, a fugare ogni dubbio.
Ma noi vogliamo declinare ancora il futuro pensando che comunque ci sarà un dopo, al termine di questa pandemia ci sarà qualcosa. Qualcosa da ricostruire, probabilmente il nostro tessuto emozionale e anche i nostri rapporti e le nostre relazioni con le persone che ci stanno intorno. Ci saranno anche tante anime di persone da ricostruire, a partire dai più giovani, coloro che da questa pandemia raccoglieranno probabilmente i cocci più piccoli e assai più complicati da rimettere insieme ordinatamente. E non si sa nemmeno chi e come dovrà rimetterli insieme. E così anche tutte quelle persone (bambini, famiglie intere) che si sono visti privare della normalità.
Già la normalità, questa sconosciuta da ormai diverso tempo.
Ci siamo chiesti come sarà tornare alla normalità, come sarà farlo nei nostri ambienti, nelle nostre cose di ogni giorno, nello sport, nella scuola, nelle comunità che abbiamo frequentato fino a ieri l’altro e adesso ci sembrano lontanissimi ricordi. Quando riapriranno i teatri? Quando si potrà tornare al cinema? Quando una piccola band di provincia potrà suonare nuovamente live di fronte ai propri amici o a centinaia di fan?
Sono tutte domande che aspettano e forse ancora a lungo aspetteranno una risposta.
Non ci è dato sapere, infatti, quando e come verremo fuori da questa pandemia da Covid-19. Ma una cosa no, non c’è stata sottratta: la speranza.
La speranza che passi in archivio anche questo fatto storico, che apparterrà senz’altro ai libri di scuola – come la caduta del muro di Berlino o le dimissioni di Papa Ratzinger e le torri gemelle (giusto per citare eventi di quest’epoca) – su cui si scriveranno volumi e volumi, non solo a carattere scientifico.
La speranza di ricominciare da dove eravamo rimasti, ognuno nelle proprie attività, ognuno con le proprie passioni e con il desiderio di realizzarsi, ognuno all’interno delle proprie famiglie, delle proprie comunità, dei propri paesi e regioni che finalmente non saranno più a tinte ora gialle ora rosse e ora arancioni, ma potranno fare parte di un comune tricolore speriamo non sbiadito dalla stanchezza della lotta che fin qui si è perpetrata. Una lotta contro il virus sì, ma una lotta anche tra ricchi e poveri, la lotta tra chi ha molto del superfluo e chi manca del necessario per vivere.
All’interno di queste divisioni sociali che preoccupano per le tensioni che ne potranno scaturire, c’è ancora il tempo di raccontarsi e raccontare cosa vorremmo nel nostro futuro. Quali sono i nostri sogni, quali le prospettive che ci fanno ancora, anche in questo tempo, sussultare e desiderare che sorga un nuovo giorno.
Non sarà facile, questo è certo.
Ma da qualche parte bisognerà pur ripartire.
Noi ci crediamo e siamo convinti che anche l’informazione possa fare la sua parte: Innanzitutto ponendosi a presidio e in ascolto delle necessità di coloro che non vengono ascoltati generalmente. E poi facendo circolare le consuete buone prassi, gli esempi virtuosi, le storie positive che ci consentono di urlare – anche dentro di noi, senza necessità di uscire sul balcone – ce la faremo.
Ma sul serio, stavolta.
Ripartendo da dove eravamo rimasti. Iniziando a chiederci sin da oggi chissà come sarà.
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