
La felicità. In questa semplice parola si concentrano milioni e milioni di sensazioni, speranze, vite. La felicità è quell’emozione a cui ogni uomo aspira, è quell’emozione così intensa e preziosa che è in fondo così semplice da trovare: un abbraccio, un tramonto, un buon voto, l’assenza di traffico, un libro. Ognuno ha una propria felicità interiore, che è diversa da quella di qualsiasi altro e questa felicità è talmente importante per il genere umano che è stata argomento di discussione per anni ed anni, fino a diventare un vero e proprio diritto: il diritto alla felicità. Il 4 luglio del 1776 è stata firmata la Dichiarazione d’indipendenza americana in cui i costituenti hanno stabilito che «a tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà, e al perseguimento della felicità». Queste magnifiche parole sono state accolte con entusiasmo e speranza, ma in realtà il concetto di felicità è così ampio e astratto, da non essere facilmente applicabile alla vita concreta e quotidiana. Poeti, filosofi, addirittura scienziati hanno trascorso la propria vita alla ricerca della felicità sperando che questo derelitto mondo potesse risollevarsi grazie alla semplice gioia di un sorriso. La realtà è che la felicità, come pienezza assoluta, come ebbrezza, il toccare il cielo con un dito, è una situazione molto transitoria, episodica e di breve durata: è la gioia per la nascita di un figlio, per l’amato o l’amata che ci rivela di corrispondere il nostro sentimento, il raggiungimento di un traguardo, ma sono tutti istanti appunto transitori, dopo i quali sopravvengono i momenti di timore e tremore, dolore, angoscia o almeno preoccupazione. L’alternarsi dei sentimenti fa parte dello svolgersi della vita; gli stessi Greci avevano compreso che il destino degli uomini è quello di destreggiarsi tra mille ostacoli, difficoltà e tristezze, giustificandolo con l’operato di Zeus che distribuiva i mali e i beni agli uomini, rifornendosi da due enormi otri. La felicità, inoltre, è un concetto estremamente soggettivo, ogni uomo su questo pianeta trova la propria transitoria felicità in ciò che più gli è caro. La felicità di una ragazza di quattordici anni come me si basa su piccoli, innocenti, effimeri avvenimenti giornalieri, che, poi, sfociano in qualcosa di infinitamente più grande. Essendo cresciuta in una grande e movimentata metropoli, quale Roma, ciò che principalmente mi circondava era la maestosa quantità di persone, soprattutto sconosciute, che ogni giorno prendeva parte alle mie passeggiate o alla mia vita in generale. La costante presenza di asfalto, cemento e palazzi di vetro non impediva agli occhi di una bambina di identificare quel paesaggio con la parola “casa”. Nonostante questo, Roma era ed è tuttora una città verde, ricca di prati, parchi e alberi. Ho trascorso la mia infanzia a Roma in quello che ora ricordo come un vero e proprio “Paradiso”, con la “P” maiuscola. La scuola iniziava alle otto e terminava alle cinque del pomeriggio. Questo giornaliero contatto con altri bambini ha sviluppato in me la gioia di stare insieme agli altri e il resto del tempo lo trascorrevo in bicicletta, nei parchi, tra le foglie autunnali e i placidi laghetti di Villa Ada. La nostalgia di quei giorni e di quella vita è incredibilmente forte e duratura e di conseguenza mi rende felice tornare a “casa”, incontrare i vecchi amici, respirare l’aria dei parchi al mattino, l’autunno, il caos cittadino, ma anche la tranquillità del verde, le passeggiate in bicicletta e il colore azzurro che il cielo acquista a mezzogiorno. Provo gioia nell’ammirare ciò che è bello e sorprendente. In quanto giovane amo essere sorpresa, provare emozioni forti, ridere. Mio padre è un grande appassionato di letteratura, filosofia e astronomia. Quando siamo insieme, con le sue parole, riesce a trasportarmi fuori dal tempo e dallo spazio, facendomi assaporare la felicità. I suoi discorsi riescono a farmi evadere dalla monotonia della vita quotidiana, riportandomi ai tempi di Sofocle, Aristotele, Marx. Ammirando il cielo notturno mi narra le leggende dell’antica Grecia legate alle costellazioni, perdendosi, poi, in quesiti riguardanti la nascita dell’universo, Margherita Hack, la teoria della relatività di Einstein per poi tornare ad ammirare lo splendore del cielo recitandomi “Il gelsomino notturno” di Giovanni Pascoli. Questo spaziare, questo vagare riesce a farmi riemergere dalle tristezze che la vita “elargisce” anche ai giovani. Tristezze insignificanti e banali rispetto alle reali preoccupazioni della vita, ma che compongono il nostro mondo come i tasselli di un puzzle. Eppure queste tristezze possono essere eliminate dalle piccole gioie quotidiane. Nonostante ami la letteratura, i libri, il perdermi tra sogni, idee, progetti e speranze, traggo gioia anche e soprattutto da fatti concreti. Se un amico mi confida un segreto sono felice perché so che si è fidato di me, se esce un nuovo film del mio attore preferito, Johnny Depp, sono felice, così come sono felice quando mi emoziono per un musical o per una canzone, quando sento il sole che mi riscalda le spalle, quando posso dare ai miei genitori la soddisfazione di aver ottenuto un buon voto a scuola o quando a cena mangio la pizza o gli spaghetti. Sono felice quando è estate perché posso rimanere sveglia con gli amici fino a tardi, sentire la sabbia nei sandali e sotto le lenzuola dopo una giornata al mare, addormentarmi con gli occhi stanchi e mille emozioni e sentire il fresco del ventilatore sul collo e l’odore della citronella dello zampirone che elimina la presenza di zanzare. Mi rende felice trascorrere un mese in montagna con la mia migliore amica e la sua numerosissima famiglia che ormai è diventata anche la mia e vestirmi con abiti pesanti anche se è agosto, abbrustolire le pannocchie e le salsicce, sentire l’odore della brace che si confonde con quello dei pini, percorrere lunghissimi tragitti con le nostre Mountain Bike e sentire il verso dei grilli nel prato tenebroso che fino alla mattina era stato il nostro campo di giochi ed avventure. Mi rende felice leggere i fumetti di Topolino perché mi fanno ridere e bearmi dello splendore di Venezia che mi suscita una gioia indescrivibile a parole. Mi rende felice svegliarmi presto la mattina e sapere che posso dormire ancora o vedere che il ragazzo che mi piace ricambia le mie attenzioni. Sono tante le cose che riescono a rendermi felice, ma talvolta si presentano così di rado o sono talmente futili rispetto alle preoccupazioni, che mi dimentico della loro presenza e utilità. Non bisogna lasciare che una sola nuvola oscuri tutto il cielo e occorre invece ricordarsi che ogni minuto deve essere goduto e assaporato perché noi uomini possiamo giocare una sola partita. Bisogna ricordare che i problemi che attanagliano il cuore di ogni uomo sono inevitabili e la felicità consiste nell’affrontarli e non nella loro assenza. La felicità non è solo ottenere, ma anche dare. Quando riesco a rendere felice un amico mi sento come se avessi ricevuto un regalo, così come quando riesco a sorprendere qualcuno o a renderlo a sua volta felice. Nei confronti delle persone che amo sono disposta a prediligere la loro felicità rispetto alla mia, perché la loro gioia è più preziosa e perché la loro felicità rende felice anche me. Come disse Kahlil Gibran «Ci sono quelli che donano con gioia e questa gioia è la loro ricompensa». La felicità quindi non è riassumibile in unico concetto, ma è l’insieme di infinite circostanze contingenti che generano momenti di sospensione dello spazio e del tempo che assicurano un transitorio rifugio alla nostra anima e ci mettono al riparo, sebbene per brevi periodi, da ciò che appare contrapposto alla felicità e che tuttavia è necessario per poterla percepire. Infatti, nulla può esistere in senso assoluto, ma solo perché esiste anche il suo opposto.
Barbara Aragona 1 D Liceo Classico “T. Campanella” di Reggio Calabria